Atypical Urban Vision
di Elisabetta Riccio
Testo critico a cura di Claudia De Giorgis
La mission di Elisabetta Riccio nella fotografia è quella di raccontare storie. Storie di persone, di luoghi, di resilienza, di memoria. Spazia da progetti più narrativi, ad altri più artistici dove mescola diverse tecniche di stampa, esperimenti in ferrotipia, manipolazioni polaroid, e l’uso della doppia esposizione.
La sua idea di spazio urbano è quella di una pianta che perde continuamente vecchie foglie per farne nascere di nuove; la sua fotografia documenta la sua trasformazione con rigore, intimità, e sentimento.
Atypical Urban Vision
Testo critico a cura di Claudia De Giorgis
RE.STI.TU.ZIO.NE
Atypical Urban Vision è un progetto frutto di 10 anni di esplorazioni fotografiche tra Italia, Francia, Stati Uniti, Messico, Repubblica Dominicana, Cuba e Israele. Lo sguardo atipico di Elisabetta Riccio si è soffermato sulla mutevolezza dell’architettura di quelle aree urbane che sono state vissute dall’uomo e poi abbandonate: frame di edifici fatiscenti, vecchie fabbriche dismesse, scorci di ferro e cemento riconquistati dalla natura.
Atypical Urban Vision è un’indagine visiva che raggruppa un’accurata selezione di fotografie tratte dal progetto RES.TI.TU.ZIO.NE iniziato nel 2010 dall’artista torinese.
La sua ricerca diventa sociale nel momento in cui immortala la rinascita dello scenario urbano segnato dalla traccia indelebile del passaggio dell’uomo, ora assente, ma un tempo protagonista. L’intera esposizione è un viaggio intercontinentale alla scoperta di luoghi tanto lontani e diversi quanto simili tra loro. Luoghi silenziosi in cui è ancora possibile udire l’eco del brulicare di un tempo; rovine di un passato in continua trasformazione, in grado di fondersi con la natura alla conquista di una nuova vita. Un percorso immersivo che racconta l’eterno dualismo tra i resti di un passato sfuggente e una natura incontaminata che afferma la sua maestosità reimpossessandosi del territorio.
Un viaggio per riportare la luce laddove l’ombra aveva occultato anche i ricordi.
“Il silenzio iniziava ad avvolgermi e il mistero di non sapere dove fossi esattamente mi spingeva ad avanzare. Ad accompagnarmi nel sentiero, una natura rigogliosa, foglie dai colori accesi e rami che invadevano il tracciato. Resti di case, cumuli di cemento, ammassi di ferro abbandonati, tenuti insieme da un soffio di calce, divorati da quella forza ribelle che lotta per riappropriarsi del suo spazio.
Una cicatrice urbana sulla pelle della nostra Terra. Rimasi attonita.
Mi voltai per ammirare lo spettacolo di decadenza che si mostrava davanti ai miei occhi: il mio sguardo voleva portare luce su ciò che era stato rimosso e poi dimenticato dallo scorrere del tempo. Un’indagine fotografica spinta a riportare in vita ciò che sembrava sepolto.
Questo è stato il mio sguardo atipico in quelle terre lontane e vicine, fulcro di vagabondaggi dettati dal fascino di quei sentieri che apparivano come ferite nella terra, mentre una natura maestosa e resiliente donava loro una nuova identità e poesia.
Ho seguito le tracce del passaggio dell’uomo e mi sono persa tra spazi urbani e selvaggi seguendo le orme di un passato di cui solo ho sfiorato le rovine. Mi sono affacciata dalle finestre di questo mondo per testimoniare le fasi della sua trasformazione.”