Giulia Perin
Giulia Perin si laurea in Antropologia all’Università di Torino. Grazie a una borsa di studio presso l’Università di Bali ha avuto la possibilità di scoprire il mondo dell’arte e dell’artigianato indonesiano. Nel 2016 crea il marchio Emina e nel 2018 diventa artista in residenza e responsabile dell’orto tintorio presso il Museo del Tessile di Chieri e inizia a collaborare con artisti ed istituti italiani tra cui Ettore Favini e lo IED di Milano.
Dal 2022 trasmette il suo messaggio anche attraverso la creazione di installazioni immersive e arazzi artistici ispirati al tema ambientale.
OPERA VERDE
UNIONE DI INTENTI
Il lavoro di ricerca
La formazione da antropologa di Giulia Perin ha profondamente segnato la successiva ricerca artistica.
Affascinata dai segni grafici e dalla simbologia che spesso restano celati dietro al tratto e alla forma scelti dall’uomo che li ha rappresentati, l’artista crede in un linguaggio che sia immersivo, avvolgente e che chiami a sé tutti i sensi, nella condivisione del sapere, nel mescolarsi delle tecniche e dei linguaggi.
C(')Era
Il batik è un’antica tecnica di tintura a riserva la cui etimologia del termine nasce dall’unione di due parole di origine indonesiana che letteralmente significano scrivere la goccia.
Giulia Perin scrive con gocce di cera su tessuti imbevuti in essenze cromatiche ricavate direttamente dalle piante. Come nell’incisione, il batik funziona per negativo, consentendo di disegnare con calde gocce dorate ciò che sul tessuto andrà a mancare.
Nello specifico, lì dove la cera viene posata, i filamenti non assorbono le cromie. Il concetto di perdita narrato nel titolo della mostra qui pare essere filtrato da quello del kintsugi giapponese: la cera veste di dorato l’assenza di colore.
Così, il viaggio che Perin ci induce a intraprendere all’interno della sua installazione è quello nel tempo della perdita. Si attraversano le stagioni, richiamate dai colori dei tessuti e dalle piante intorno; si attraversa il tempo, assistendo a una graduale scomparsa della cera. Si attraversa la perdita come costante intimamente connessa a noi e tutto ciò che ci circonda. Si entra in un ambiente in cui si è così portati a una pacificazione con la natura, riconnettendoci con quel sé altro da noi che per hybris continuiamo a dimenticare.
A cura di Stefania Dubla