Dentro l’altro, di fronte all’altro
a cura di Massimiliano Scaringella
Il ritratto fotografico, seguendo la scia della ritrattistica classica, come gli stupendi ritratti del Fayum del secolo I a.c. ai ritratti degli affreschi di Pompei, è stato il motore dello sviluppo della fotografia anche nel campo tecnico. Ci permette di riflettere sulla costruzione della nostra identità, partendo dalla dalla rappresentazione visiva, includendo temi come i ruoli di genere e le differenze sociali, dei costumi, e altri elementi della vita quotidiana. Rimarcando come tali classificazioni si sono sviluppate nella società moderna e non solo. Anatole Saderman è uno di questi grandi innovatori del ritratto forse uno dei più grandi. Ci costringe a guardare di nuovo le persone, a ricordarci di loro, a riconciliarci con la loro intima essenza. Il suo decalogo per un bel ritratto ci avverte che non è solo pura casualità tanto da fargli dire: “La cosà più difficile per un ritrattista e perdere la paura. Che in realtà non è paura, ma emozione e un ritratto senza emozione non è un ritratto. È una foto: una delle milioni di foto”. Continuando dicendo che “per prima cosa bisogna guardare l’interlocutore senza la camera: in un bar, in un bus… dove fioriscono miracolose espressioni e sfaccettature illuminanti e dove solo l’amore può darti la visione esatta”. Nel suo soggiorno a Roma nei primi anni ’60 Anatole Saderman ha vissuto e interpretato il “cuore” artistico della città eterna frequentando e fotografando, la componente intellettuale che si stringeva intorno alla Galleria Nuova Pesa uno dei fulcri culturali del postguerra. Nel rivederle oggi ritroviamo la nostalgia di quegli anni, ma anche riviviamo attraverso questi ritratti, gli sguardi, principalmente di artisti, che ci rinviano la sensazione, direi, la certezza che la rinascita era in cammino e che la prepotenza delle idee molto forte. Che loro “i ritrattati” erano consapevoli di essere parte delle avanguardie artistiche di quegli anni. Le posizioni, gli interni di studi o solo semplici ritratti, coinvolti da un sapiente uso della luce che esalta il bianco e nero, ne sono la felice dimostrazione.
SADERMAN A ROMA
Nel 1961 i miei genitori vennero a trovarmi a Roma, dove io vivevo dal ’59 lavorando come regista al cinematografico della Rai. Mio padre, Anatole Saderman, il più importante fotografo ritrattista argentino del secolo scorso, fedele alla sua tradizione di aver ritrattato tutti i pittori e scultori argentini (più di 300), riuscí grazie all’ aiuto di Berenice, a ritrattare i più importanti artisti romani degli anni Sessanta: Afro, Guttuso, Capogrossi, Vespignani e tanti altri.
Nel ’62, prima di partire di ritorno in Argentina, ebbe luogo alla galleria La Nuova Pesa in Via del Vantaggio una mostra di questi ritratti. Ora, 55 anni dopo, la mostra si ripete, con l’inclusione di un gruppo di alcuni dei più importanti pittori argentini di origine italiana che vissero o ebbero con la città un rapporto importante.
Alejandro Saderman