I'm Blue
a cura di Sofia Castagnoli, Irene Marchioro e Gaia Spagna
Il pensiero di provare dolore tormenta l’Uomo sin dalle sue origini. Nel mondo classico, gli antichi greci consideravano la sofferenza una passione da sopportare, una componente ineludibile all’esistenza stessa. È proprio nella tragedia classica che, anticamente, si è trovata la soluzione alla convivenza con eventi luttuosi. Ai protagonisti delle opere teatrali spettava di mettere in scena rappresentazioni delle angosce quotidiane, mentre agli spettatori di rispecchiarsi in esse attraverso un processo di mimesi, con l’intento di liberarsi da queste passioni tramite un’azione catartica. Difatti, all’interno della tragedia dell’Agamennone, Eschilo pone l’accento sulla riflessione riguardante l’apprendimento dal dolore - pathei mathos - attribuendo così alla sofferenza una via di accesso privilegiata alla conoscenza: «Soltanto a coloro che soffrono, Dike concede di comprendere». ¹
A distanza di secoli, il dolore può essere ancora considerato una fonte di conoscenza?
L’Uomo di oggi è terrorizzato dallo stare male. Dalla lucida analisi del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, emerge come nella contemporaneità dilaghi una generalizzata paura di confrontarsi con l’Altro, ch
e sta conducendo l’individuo a sbarazzarsi di tutto ciò che può produrre turbamento. Nell’attuale società della prestazione e dell’immensa accumulazione di spettacoli², dove ogni cosa viene levigata al fine di diventare prodotto per compiacere il mercato, alla negatività viene impedita qualsiasi possibilità di espressione perché interpretata come segno di debolezza, qualcosa da nascondere. Solo l’Arte può aiutare a demolire le barriere istituite dal virus dell’algofobia. Come un flusso sospeso dalla realtà circostante, si propone come potente strumento per abbattere i confini individuali e costituire un osservatorio privilegiato con cui avvicinarsi ai travagli della sofferenza altrui.
I’m blue si configura come archivio di esperienze e spazio d’incontro in cui trovano espressione affanni individuali, costruzioni ossessive e ri-composizioni di memorie, che si intrecciano nell’intento di sostare nelle immediate vicinanze del dolore e nel fine ultimo di trovare una sublimazione alla sofferenza. Attraverso questo dispositivo, in cui l’atto di creazione artistica coincide con un’azione catartica, si fa eco la volontà di rinnovare lo sguardo nei confronti di tutto ciò che produce negatività, anelando a lasciare traccia del proprio pathei mathos.a.
¹ Eschilo, Agamennone, 1963, pp. 245-250. | ² Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari editore, 2002. | ³ Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi, 2021, pag 5. Con algofobia si intende la paura generalizzata del dolore, dal greco algos, dolore e phobos, fobia.