Meet our curators: Giulia Giglio

Giulia Giglio

curatore “Rebirthing Exhibition”

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Spesso la vita ci presenta occasioni uniche che ci aiutano a fare chiarezza su ciò che siamo o che vorremmo essere/diventare. C’è un momento preciso a cui puoi ricondurre la tua decisione di intraprendere la carriera del curatore?

Mi sono avvicinata alla curatela piuttosto in punta di piedi e in realtà non credo di averli ancora del tutto appoggiati! Non riesco a pensare a un momento preciso o a un evento in particolare. Sicuramente ha influito la passione trasmessa da molti professionisti del settore che ho incrociato in questi ultimi anni e che mi ha spronato a intraprendere questa strada. L’arte è sempre stata una grande amica e gradualmente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo delle mostre, prevalentemente di architettura.

Infine, unendo i puntini, ho deciso di approfondire questo campo attraverso un corso professionalizzante: così sono approdata a NICE e a una serie di collaborazioni tuttora in atto.

Hai la possibilità di dedicare una mostra personale a un artista che più di altri senti vicino al tuo modo di sentire e intendere l’arte contemporanea: quale artista sceglieresti di curare?

Ho una forte attrazione, penso in parte dovuta alla professione di architetto, nei confronti di quegli artisti che espandono la propria arte nello spazio o nella città, aprendo l’osservatore a nuovi punti di vista e stimolando il dibattito sociale.

Se potessi scegliere in questo istante direi i Superflex. Per il loro approccio etico, la capacità di interagire e amplificare le sensazioni del pubblico, ma soprattutto per la sensibilità ambientale e sociale presente in molti dei loro lavori.

Fare il curatore oggi vuol dire affrontare diversi aspetti legati all’arte contemporanea: dalla stesura del testo critico all’allestimento, passando per la promozione dei progetti curati e la selezione delle opere da includere. Qual è l’aspetto che ti piace di più?

Sono convinta che tutti questi aspetti siano talmente connessi tra loro e complementari da rendere difficile, se non impossibile, una vera scelta. Per attitudine oscillo tra due: la scrittura del testo critico e l’allestimento. Probabilmente perché entrambi definiscono la storia che si va delineando lungo la mostra.

Credo infatti che il raccontare sia la cosa che più mi affascina di questo mestiere. In un’esposizione questo avviene non solo tramite le parole ma anche, e soprattutto, attraverso le sensazioni trasmesse dall’allestimento dello spazio e dal percorso espositivo.

Per molti artisti, “un curatore è per sempre”: che rapporto hai con gli artisti che hai curato nel tempo? Hai un ricordo piacevole legato a un incontro/mostra o a una collaborazione?

Cerco sempre di trovare un punto di contatto piuttosto profondo con gli artisti con cui lavoro. Con molti ho mantenuto i rapporti anche dopo la conclusione della collaborazione e con alcuni stiamo tuttora provando a realizzare nuovi progetti. In qualche modo, per analogia, paragonerei la curatela di una mostra a quei viaggi medio-lunghi che ti portano a condividere momenti ed emozioni con i compagni incontrati lungo la strada.

Il momento che preferisco? Quello che precede l’inaugurazione, quell’istante di “vuoto” in cui si sciolgono tutte le fatiche ed emerge una sensazione di felicità condivisa e di trepidazione per la reazione del pubblico.