Meet the artist: intervista a Giacomo Infantino

 Esplorazioni notturne, silenzi, scoperte e visioni sull’inconscio: Giacomo Infantino racconta l’identità individuale e collettiva attraverso i paesaggi (interiori ed esteriori) che popolano la sua vita e la sua quotidianità.

Le tue coordinate, anagrafiche e geografiche.

Vivo in provincia di Varese dal 1993, in un piccolo paesino collocato tra il lago di Varese e il Maggiore. Nel tempo mi sono trasferito in diversi paesi europei, ho vissuto a Londra poco dopo aver compiuto i diciott’anni e di recente, tra il 2019 e il 2020, mi sono trasferito per diversi mesi nella città di Lipsia in Germania. La vicina Milano, 71km dal grande lago, è la città in cui studio, lavoro e dove ho intrapreso un lungo percorso di formazione tuttora in corso.

Definiresti il tuo percorso formativo lineare o atipico?

Il mio percorso artistico credo sia molto lineare, ma allo stesso tempo trasversale. Durante e dopo gli studi liceali ero esclusivamente focalizzato nel mondo musicale. Pochi sono i risultati che posso definire degni di nota, ma sono molto orgoglioso delle produzioni di musica elettronica, che realizzavo con sintetizzatori analogici di vario genere. Col senno poi posso dire che tutto questo non fu vano: nonostante la totale crisi ed incertezza sul mio futuro, queste esperienze mi sono servite a motivarmi nel proseguire con gli studi.

Il mio percorso è iniziato quindi con l’iscrizione alla facoltà di Nuove Tecnologie dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Qui è avvenuto il passaggio fondamentale da un percorso puramente accademico tradizionale ad uno più innovativo e dall’ampio respiro contemporaneo. In Accademia ho trovato tanti spunti che sono serviti a unire i puntini di un quadro fino ad allora assai confuso. Questa esperienza mi ha dato l’opportunità di approfondire il cinema, la fotografia, il sound design, la programmazione, la scrittura applicando queste conoscenze non solo alla pratica, ma anche ad un sistematico impianto estetico e semiotico dei cosiddetti New Media. Ho iniziato a produrre i miei primi lavori utilizzando ogni forma di linguaggio, ma ho capito ben presto che ciò che mi interessava particolarmente erano la fotografia e il video. Tutto questo percorso si ricollega ovviamente alla situazione attuale. Sono laureando magistrale al corso di Fotografia, sempre in Brera, in cui ho potuto svolgere alcuni interscambi, accademici o professionali, come l’esperienza nell’Accademia tedesca Hochschule für Grafik und Buchkunst di Lipsia, dove ho studiato nella “Klasse” di Joachim Brohm e di Tina Bara, o come l’indimenticabile Student Programme di Canon, insieme ad alcuni esponenti di Magnum, presso il Visa pour l’image di Perpignan in Francia. Tutte queste esperienze “lineari”, per lo meno per quanto riguarda il canonico svolgimento accademico, mi hanno condotto però ad una moltitudine di incontri, scoperte, cambiamenti che hanno reso davvero eterogeneo e mai statico tutto il mio percorso artistico e di vita.

Unreal di Giacomo Infantino, Stampa a pigmenti, 80x100 cm, 2018

Ogni artista si differenzia per uno stile particolare, dato da una sommatoria di fattori differenti. La tua ricerca predilige un mezzo espressivo o una tecnica in particolare? Nelle tue opere vi è qualcosa di inevitabilmente ricorrente, a livello di soggetto o messaggio? Quali sono i tratti distintivi della tua ricerca? 

Il mezzo espressivo che prediligo maggiormente è sicuramente quello fotografico, ma anche il video. Ciò che amo di queste possibilità di linguaggio è la loro forte mutabilità e malleabilità di utilizzo.

La fotografia e il video sono medium che possono contaminarsi con qualsiasi cosa. Non c’è una sorta di limite, non che ce ne siano in generale, ma sono ben predisposti a molteplici ruoli. Nel mio lavoro in particolare, questi media diventano un tassello fondamentale per svolgere una ricerca immaginaria che mi spinge costantemente a creare infinite possibilità di espedienti, pensieri e tecniche che mi conducono a nuovi quesiti formali ed estetici. Nel mio lavoro in generale, ciò che ritorna con forte chiarezza, è l’indagine introspettiva e concettuale che ho tessuto intimamente con il territorio in cui vivo da sempre. Attraverso l’immagine ho la possibilità di attivare nuove suggestioni dal paesaggio stesso che mi aiutano a ridefinirne gli spazi esteriori, e allo stesso tempo interiori. Nella ricerca che svolgo c’è molta pratica spassionata, tante camminate notturne, silenzio e freddo gelido, ma anche scoperta, rivelazione, fallimento e introspezione. Quasi tutto il mio lavoro verte sulla ricerca di un paesaggio, fortemente onirico, caratterizzato da installazioni di luci nel territorio, da una oscurità che riesce ad emergere dalla mia vita per riversarsi in una visione più totalizzante e collettiva, nell’ardua ambizione di leggere alcuni aspetti del presente e di ciò che lo costituisce.

Le tue fonti di ispirazione. Da dove scaturiscono le idee di nuovi progetti o lavori? Attualità, letture, circostanze casuali oppure ossessioni personali?

Come dicevo, è il mio territorio a darmi tutto ciò che mi serve, in particolare per ossessionarmi. Anche la notte, generosa, mi offre la possibilità di reinterpretare il “visibile” con molta più flessibilità delle ore diurne. Credo che il fare arte, in ogni suo ambito, abbia a che fare fortemente, spesso in maniera inconscia, con ciò che ci circonda e come ne assimiliamo i vari aspetti. Mi nutro costantemente di tanti prodotti, di letteratura, di cinema, di musica, di teatro, ma trovo una mia dimensione di ispirazione anche nell’ozio e nel vagabondaggio culturale. L’idea di un “progetto” non nasce mai in un singolo istante, ma segue sempre molteplici fasi. Spesso alcune idee sembrano ardenti, ma successivamente si assopiscono. Nel mio caso, concepire un progetto è questione di lunghe attese. Nel mio percorso personale ho sempre realizzato progetti a lungo termine, e per essere definiti tali, considero sempre alcuni fattori che ne incidono fortemente il tragitto: l’abbandono, il tracollo emotivo e professionale, la costanza e la dedizione. Il mio lavoro più conosciuto, “Unreal”, è un esempio forte di questa affermazione.

Unreal” ha avuto una gestazione di quasi quattro anni, non è mai stato concluso e mai dovrà esserlo. È una ricerca continua che formula ipotesi e dà rare risposte. La mia, come ben dici, è un’ossessione al limite tra il romanticismo e l’incertezza. Tutto ciò che realizzo ottiene la sua forma attraverso il passare del tempo e il vissuto dello spazio in cui mi trovo. È un’esigenza di esplorazione trasversale che svolgo con e senza la macchina fotografica. A volte la macchina mi conduce al prodotto, ma spesso conservo in me le semplici esperienze e ne faccio tesoro.

Il primo amore non si scorda mai. Qual è l’opera o l’artista che in qualche modo ha lasciato un segno nel tuo percorso?

Mi sono innamorato dell’arte quando ho scoperto la Metafisica. In particolare “Canto d’amore” di Giorgio De Chirico. Da giovanissimo, ne ho fatto una copia a olio che conservo ancora.

To The Northwest di Giacomo Infantino, Stampa a pigmenti, 100x80 cm, 2017

Il rapporto/confronto tra artista emergente e curatore: lo definiresti necessario, occasionale o superfluo?

Un artista che, come nel mio caso, si trova da poco all’interno di un sistema complicato come è quello dell’arte, rischia di imbattersi in un’arma a doppio taglio che può distruggere una certa integrità personale e strutturale del suo fare arte, come può rivelarsi elemento indispensabile per valorizzare e concretizzare il suo percorso di crescita. Credo che la collaborazione bilaterale tra curatore e artista emergente sia fondamentale, purché ci sia una forte condivisione che non porti solo ad arricchire culturalmente una delle due parti, ma che sia in grado di consolidare due ruoli professionali essenziali nella realizzazione di un’opera al fine di darle una nuova forza e una crescita di senso tale da permetterle di abbracciare finalmente la fase “pubblica” dell’arte. Quindi sì, credo sia un ruolo tanto centrale quanto critico.

Stai lavorando a qualche progetto futuro in particolare? Una mostra o una serie di opere nuove?

È un periodo fortunatamente prolifico. Prima e durante il lockdown mi sono dedicato ad alcune nuove ricerche che stanno dando vita ad una serie di immagini intitolate “Preja Buia”. Inoltre sto portando a termine alcuni video, frutto di collaborazioni con altri artisti. La nuova produzione fotografica si pone in continuità con “Unreal”, ma si differenzia in quanto è un’indagine molto più ristretta: ho posto la mia attenzione su alcuni luoghi della provincia in cui si effettuavano riti per la fertilità e per la natura in epoca preistorica e celtica. In questi luoghi mi sono impegnato nella ricostruzione non tanto del loro retaggio storico delle popolazioni arcaiche, ma piuttosto verso la loro fascinazione millenaria, indagando quelle fantasie che, nei secoli, generazione dopo generazione, hanno caratterizzato la visione della regione delle Prealpi e dei suoi meravigliosi laghi.

Unreal di Giacomo Infantino, Stampa a pigmenti Dimensioni: 100x80, 2018

Se un giovane ti chiedesse un consiglio su cosa è indispensabile per un artista agli esordi? 

Onestamente non saprei bene cosa dirgli. Sicuramente però consiglierei di fare tanta ricerca, guardare tanto e di non scoraggiarsi di fronte alle prime difficoltà. Non riuscire a raggiungere i “traguardi”, o non vincere una call, non sono queste le cose che ti definiscono come artista, anzi: la vera cosa importante è di essere onesti con sé stessi.

Non bisogna cercare di forzare il proprio lavoro, in quanto molto spesso, come è capitato a me, basta guardare dietro la propria casa per capire ciò che ci interessa davvero. Come sviluppare il proprio talento lo si intuirà continuando a sbagliare e a riprovare. Sembra scontato ma non lo è.

La prima opera d’arte venduta segna una svolta, attesta il passaggio da un livello di produzione privato e personale a una dimensione professionale.  Che ricordi hai in merito? A parte la mera transazione economica, tra artista e collezionista normalmente si crea un rapporto elettivo di scambio reciproco?

La mia prima vendita, se ben ricordo, è avvenuta durante Paratissima Torino 2018.
È sempre una grande emozione perché significa che qualcuno sta, nel concreto e nella realtà, puntando sul tuo lavoro e allo stesso tempo su di te. Vendere una o più opere non stabilisce a mio avviso il passaggio da un livello di produzione personale a quello professionale, ma piuttosto credo che sia un punto cruciale in cui tu capisci che puoi fare ancora di più. Può tradursi in un monito per indurti ad impegnarti sempre di più in ciò che fai grazie alla consapevolezza di essere riuscito a comunicare il tuo lavoro personale in una dimensione leggibile e pubblica, facendo emergere il tuo lavoro dall’esclusiva individualità personale. Ovviamente il mio è un discorso molto generale, non sempre queste parole rispecchiano con la realtà, perché…

Tre hashtag indispensabili per definire la tua poetica e a cui non potresti mai rinunciare…

#oscura #solitaria #introspettiva

Unreal di Giacomo Infantino Stampa a pigmenti, 100x80 cm, 2018

Focus on

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua.

Scopri Art Production →

Seguici