Send me your location
a cura di Noemi De Simone, Chiara Lorenzetti
Misurando la distanza che intercorre tra due punti ci si trova di fronte a un bivio: calcolare i chilometri che li separano oppure la durata dello spostamento. Entrambe le opzioni sono valide ma incomplete poiché considerano lo spazio e il tempo due dimensioni slegate e indipendenti.
Il dominio temporale sembra oggi l'approccio prevalente, d'altronde «si incontrano dappertutto persone con un orologio, e solo molto di rado persone con una bussola» (Perec, 1989). Orientarsi nella contemporaneità è una questione complessa e strumenti come l’ormai irrinunciabile Google Maps hanno reso il viaggio più accessibile, ma anche più prevedibile. Il parametro privilegiato sia dall’app che dall’utente è quello del tempo di percorrenza: il percorso più breve è quello “migliore”.In questo modo si rimane però privati di strade alternative, senza serendipità, senza gioco.
La cartografia scientifica, avendo come scopo precipuo la rappresentazione oggettiva dello spazio, non tiene conto del vissuto soggettivo e non può dunque dirsi sufficiente. «La mappa non è il territorio» diceva Korzybski (1931), infatti nel Medioevo le carte erano disegnate a seguito dell’esperienza diretta dei luoghi, modificando le distanze in base a come erano state effettivamente percepite. Oggi, all’interno del paesaggio contemporaneo si è fondamentalmente persi, per usare le parole dell’antropologo La Cecla (Perdersi, 1988), poiché esso è più subìto che agito.
Tenere traccia dei propri percorsi, routinari o eccezionali che siano, può consentire di tessere nuove relazioni tra persone e ambiente, da cui possono nascere narrazioni originali e personali. Come dice bene Francesco Careri nella sua introduzione a Walkscapes (2006): «Prima di innalzare il menhir [...] l’uomo possedeva una forma simbolica con cui trasformare il paesaggio. Questa forma era il camminare». Da «prima azione estetica», oggi il cammino sembra essere ridotto a mero spostamento funzionale.
Già lo psicologo e sociologo Debord nel teorizzare la “psico-geografia” esortava a girare «a piedi senza meta od orario» con il fine di cogliere l’ambiente come un insieme organico. Davanti alla minaccia coercitiva di una percezione tradizionale e codificata dell’urbano, l’autore propone la ricerca della “deriva” come atto necessario per generare sguardi e percorsi casuali e innovativi. Le sue parole incidono ancora con forza nel presente, come un invito a interrogare costantemente il modo in cui si vive la quotidianità.
Servirebbe dunque una geografia emotiva che conceda la possibilità di segnare sulla mappa i propri “centri di interesse”, luoghi in cui le micro-storie si affianchino alla Storia. Se la geolocalizzazione diventa strumento di controllo, la geografia ufficiale una descrizione asettica e la scelta di un itinerario premia solo l’efficienza, Send me your location propone, invece, una cartografia sensibile e soggettiva che provi a restituire le molteplici stratificazioni dell’esperienza umana in relazione al territorio.