Time Capsule
(In)finita misura delle cose
a cura di Francesca Calzà, Greta De Marchi, Martina Ghignatti
Ogni forma, colore, consistenza, profumo e suono con cui l’uomo entra costantemente in contatto raccontano una storia che, a volte, vale la pena conservare e ricordare.
Custoditi in una scatola o intrappolati nella memoria vengono raccolti oggetti, ricordi tangibili e intangibili: l’accumulare diventa così mania del singolo individuo che desidera trasmettere la testimonianza di sé o della collettività.
La collezione rappresenta una soffitta dell’essere ricolma di pensieri, concetti e sentimenti, a cui lo stesso collezionista dona una seconda vita: le cose, un tempo desiderate e ora pazientemente raccolte, assumono la forma di fossili, nuovi reperti archeologici da indagare, gettando in questo modo un ponte tra passato, presente e futuro.
Muoversi nello spazio di una raccolta ed immergersi al suo interno lascia a chi ne entra in contatto un lieve senso di nostalgia, una sensazione al tempo stesso di perdita e di ritrovamento a cui nessuno risulta immune. Una patina leggera permane così indelebile sulla pelle nonostante il perpetuo fluire del tempo. Tutti gli oggetti custoditi gelosamente, per quanto possano apparire banali e quotidiani agli occhi del presente, assumono un’importanza cruciale per la rappresentazione di un istante ormai perso e di una cultura da lasciare in eredità restituendo uno sguardo non solo rivolto al passato, ma altresì proteso verso il futuro. Le reliquie di un’identità perduta si traducono in un atlante che narra il tempo dando vita al fil rouge di una memoria potenzialmente infinita, dove i ricordi vengono intrappolati in una dimensione di incertezza, in un’epoca che non possiede né tempo né luogo.
Decodificare il contemporaneo per l’uomo di domani significherà inevitabilmente attribuire scopi e funzioni agli oggetti ritrovati come fossero certezze, d’altronde la verità accompagna la storia senza mai abbracciarla. Come interpreteranno il presente e le sue manifestazioni gli uomini del futuro? Si troveranno così capsule del tempo, le cui memorie stipate al loro interno verranno al più presto o al più tardi disseppellite dalle generazioni future, restituendo un’archeologia del nostro tempo presente.
Verranno alla luce scavi dove i reperti appaiono collocati senza un nesso, lasciti del passato senza l’intento di tramandare una memoria, ma con l’obiettivo di rivivere e rievocare in modo maniacale l’ombra della propria esistenza.
L’accumulo ossessivo è istintivamente indotto dall’inevitabile senso di sconforto di fronte alla consapevolezza della fugacità dei ricordi, come dell’esistenza, per l’uomo che teme di dimenticare o essere dimenticato. Si conservano i biglietti del treno, le ricevute del ristorante, gli scontrini e i biglietti di auguri di una vita con il rischio che l’Uomo smetta di possedere gli oggetti ed inizi ad esserne posseduto, illudendosi di poter dilatare un istante con l’ambizione di renderlo eterno. Sorge quindi una domanda: ma alla fine, davvero, che cosa rimane?