
What Echoes Remain
Fotografie e archivi tra Palestina, Ucraina e identità contese
Fotografie di Sofiya Chotyrbok, Greg.C. Holland e Varvara Uhlik - a cura di Laura Tota
Che cosa ereditiamo dalle guerre che non abbiamo vissuto? Quali immagini ci abitano, anche quando non le ricordiamo?
Esiste una guerra che non si combatte sul fronte, ma dentro i corpi e nelle genealogie affettive. È la guerra ereditata: non vissuta, eppure impressa. Le opere in mostra non raccontano la guerra direttamente, ma ne mostrano i riflessi sull’identità, sulla memoria, sui legami familiari e culturali. La fotografia diventa strumento di ascolto, di riscrittura, di resistenza.
In un tempo in cui le guerre si moltiplicano e si dissolvono, non solo nei territori ma nelle coscienze, tre artisti internazionali si confrontano con ciò che resta: memorie ereditate, appartenenze fragili, domande sospese. Non sono cronisti né testimoni diretti, ma portatori di un’eredità sottile, fatta di tracce, racconti mancati, immagini interiori.
Greg C. Holland, nel suo lavoro sulla Palestina, sceglie di rivolgere lo sguardo alle nuove generazioni: bambini, adolescenti, giovani adulti che crescono sotto l’ombra lunga di una guerra che sembra non avere fine. Le sue immagini non documentano il conflitto, ma ne raccolgono i sedimenti. Ogni fotografia diventa così una promessa d’archivio, un gesto rivolto al futuro: Chi erediterà la memoria di un popolo quando la narrazione sarà stata delegittimata, frantumata, rimossa?
Anche Sofiya Chotyrbok e Varvara Uhlik partono dalla memoria, tra fotografie d’infanzia, atmosfere evocate e ricordi incerti, attraversando l’archivio della propria infanzia per interrogare una genealogia identitaria complessa e contesa. Le loro immagini non ricostruiscono un passato, ma provano a ricucirlo, a renderlo di nuovo abitabile. Varvara, sospesa tra cultura russa e ucraina, rievoca un’infanzia attraversata da ambivalenze sottili. Sofiya, intrecciando le radici ucraine, russe e italiane, indaga un’identità che si stratifica, si trasforma, resiste. In entrambe, l’archivio domestico diventa campo di battaglia simbolico: lì dove l’immagine familiare dovrebbe rassicurare, emerge invece come prova di una memoria instabile, mai pacificata. Nelle loro immagini, la Russia e l’Ucraina si confondono, si contraddicono, si rincorrono come specchi rotti. Sofiya aggiunge una terza voce: quella italiana, che sfuma e complica il suo paesaggio identitario. Le fotografie d’infanzia, rilette e rianimate, diventano materia viva: non solo memoria, ma terreno di riscrittura.
La fotografia, in tutti e tre i progetti, è spazio di cura e di domanda. È ciò che permette al ricordo di prendere forma, anche quando non esiste ancora. Che sia visibile, rimosso o solo immaginato, il passato continua a parlarci. E l’immagine, forse, è il modo più umano che abbiamo per non dimenticare.
What Echoes Remain è una riflessione sulla memoria che si trasmette senza parole, attraverso le immagini. Una memoria contesa, a volte rimossa, che cerca casa nei corpi, nei volti, negli sguardi di chi non ha scelto, ma porta con sé le fratture della storia.
a cura di Laura Tota

Greg.C. Holland | Inheritance - The Land is Weeping
Inheritance - The Land is Weeping di Greg C. Holland si configura come un’indagine fotografica sull’eredità culturale e territoriale in Palestina. Attraverso una serie di immagini evocative, Holland esplora la resilienza di chi abita questi luoghi, offrendo una narrazione che sfida le rappresentazioni convenzionali, spesso incentrate sulla sofferenza.
A differenza degli altri due lavori presenti in mostra, questo progetto nasce da una posizione esterna solo in apparenza: Greg è inglese, ma le sue vicende personali lo hanno portato a intrecciare profondamente la sua vita con quella del popolo palestinese. Non ha vissuto direttamente la guerra, ma ha scelto di ascoltarla da vicino, di farsene carico, di restituirla attraverso l’immagine. Un’eredità scelta, e in quanto tale, un atto di responsabilità.
Il lavoro si concentra su una comunità di skateboarders a Ramallah, restituendo momenti di libertà e solidarietà. Le immagini immortalano luoghi, volti, oggetti e simboli della cultura palestinese: architetture fragili, mani che si stringono, ulivi che resistono. Scene di gioia condivisa che, senza mai negare la complessità del contesto, affermano la possibilità di vivere, crescere e sognare.
Eppure, in quei frammenti si annida già la nostalgia: ciò che oggi è visibile, domani potrebbe non esserlo più. Inheritance - The Land is Weeping è un archivio involontario, una memoria del presente che diventa documento. Un monito silenzioso: la memoria non è solo di chi ha vissuto, ma anche di chi sceglie di ricordare.

Sofiya Chotyrbok | Home Before Dark
In Home Before Dark, Sofiya Chotyrbok affronta il ritorno alla terra d’origine come un rituale di svelamento e smarrimento. Dopo ventidue anni in Italia, l’artista rientra in Ucraina e si immerge in un paesaggio domestico segnato dalla memoria post-sovietica. Le immagini—composizioni meticolose tra autoritratto, collage e archivio— abitano una chruščëvka che diventa teatro di apparizioni e cancellazioni. Tappeti, fotografie di famiglia, oggetti dimenticati si fanno indizi di un’identità frammentaria, nostalgica e in parte irrecuperabile.
L’autoritratto non cerca lo svelamento, ma si affida al mascheramento, alla ritualità dei gesti, alla grammatica silenziosa delle luoghi, dei mobili, degli abiti. Il volto scompare, la posa è composta, teatrale: è un’identità che si ricostruisce attraverso il travestimento, che si protegge mimando le forme del ricordo. La casa non è rifugio, ma palcoscenico di una genealogia femminile non detta.
L’ombra della guerra si insinua nel presente, modificando il rapporto con le origini, alimentando un senso di precarietà e dislocamento. Le crepe dell’identità si amplificano nel contrasto tra intimità e instabilità geopolitica, tra ciò che resta e ciò che non può più tornare.
In dialogo con gli altri artisti di What Echoes Remain, Chotyrbok evoca un passato personale che si intreccia a quello collettivo, senza mai ricomporne le fratture preferendo abitarle, conservarle come segni. La memoria, qui, non è narrazione lineare ma un eco che si smorza sulle superfici del suo corpo e delle pareti, dove l’identità si fa fantasma e traccia.

Varvara Uhlik | Sonechko, Yak Ty? (Sunshine, How Are You?)
C’è una luce fragile, quasi trattenuta, che attraversa le immagini di Sunshine, how are you?, come se la memoria potesse affiorare solo in punta di piedi. Varvara Uhlik compone un diario visivo in cui l’infanzia in Ucraina diventa lente per interrogare il presente: non una nostalgia compiaciuta, ma una riflessione profonda sull’identità, il trauma e l’eredità del passato sovietico. Attraverso la fotografia, Varvara decostruisce e ricompone frammenti del proprio passato, ricontestualizzandoli mentre ridefinisce la sua identità, la femminilità e l’eredità culturale. Ogni immagine diventa una tessera nel puzzle della sua auto-narrazione, riflettendo su come i ricordi plasmino e trasformino la percezione di ciò che siamo. La serie indaga il modo in cui le memorie vengono conservate, distorte, alterate nel tempo, fungendo al contempo da riflessione introspettiva e da ritratto generazionale di chi è cresciuto nel mondo post-sovietico. Nel dare voce ai traumi ereditati, il lavoro di Uhlik tenta anche di riscattare l’identità ucraina dall’ombra lunga del colonialismo russo. In queste immagini – sospese tra malinconia e ironia – gesti quotidiani e spazi familiari si caricano di stratificazioni storiche. Il pranzo di Capodanno, rito sostitutivo e consolatorio di un Natale negato; il vestito cucito a mano per posare davanti all’albero; il sapore rituale delle ciliegie nei varenyky della madre: ogni frammento rivela il peso invisibile di una storia collettiva che si annida nei ricordi privati. La fotografia si fa gesto affettivo, documento del quotidiano e riflessione estetica sul tempo che passa. Ma ciò che colpisce è lo slittamento continuo tra personale e collettivo, tra ciò che è perduto e ciò che resta. In un’epoca di smaterializzazione digitale e perdita di riferimenti, Uhlik costruisce un contro-archivio affettivo: un atto di resistenza silenziosa, che rilegge la memoria non come cronaca, ma come materia viva da abitare e reinventare.
Greg.C. Holland
Greg.C.Holland è un fotografo e scrittore di Londra. Avendo vissuto e lavorato in Myanmar, Australia, Messico e Palestina, il lavoro di Greg è curioso e contemplativo, esplora gli esseri umani e le loro espressioni attraverso la cultura e la terra.
Sofiya Chotyrbok
Sofiya Chotyrbok (1991) è un’artista italo-ucraina che vive e lavora a Milano. Dopo gli studi in Fotografia, condensa le proprie conoscenze nelle Arti visive. I suoi lavori spaziano dall’installazione ambientale alla performance, dalla fotografia al video d’artista. La sua ricerca si concentra sui temi dell’identità e della memoria e della migrazione. È vincitrice di numerose borse di studio nazionali e internazionali ed è stata finalista di Giovane Fotografia Italiana #10 nel 2023. Le sue opere sono state esposte in importanti festival e musei internazionali, tra cui Mala Stanica (Skopje, 2024), Fotografia Europea (2023), Saarland Museum Moderne Galerie (2023), Triennale Design Museum (Milano, 2021), Mana Contemporary (Chicago, 2019). Dal 2024 è membro dell’Ukrainian Women Photographers Organization.
Varvara Uhlik
Varvara Uhlik è un'artista visiva ucraina con sede a Londra. Esplora i temi della cultura e dell'identità dell'Europa orientale, concentrandosi sull'impatto dell'era sovietica sulla sua generazione. Analizzando l'influenza dell'eredità sovietica, il lavoro di Varvara illumina i temi del trauma generazionale e i paesaggi socio-culturali dell'Europa orientale contemporanea. Varvara tende anche a sottolineare come le memorie collettive e individuali siano conservate e alterate in un mondo digitalizzato sempre più precario.