Gian Marco Sanna
Gian Marco Sanna, classe 1993, studia dal 2012 al 2015 presso la Scuola Romana di Fotografia di Roma. Nel 2017 pubblica il suo primo libro “Malagrotta” con Urbanautica, esposto successivamente nel 2019 durante Paris Photo alla Mi Gelerie e al Fotofever. Nello stesso anno pubblica “AGARTHI” con Penisola Edizioni, il progetto vince il Parallel Voices 2020 a Photometria Festival in Grecia, ed esposto al Prague Photo Festival di Praga, Mia Art fair di Milano e al Gibellina PhotoRoad in Sicilia.
Nel 2023 pubblica il suo nuovo libro “PARADISE” con Artphilein Editions.
Sanna ha ricevuto numerosi incarichi per molte riviste di fotografia documentaristica, tra cui Youthies magazine, SUQ magazine, Gup Magazine, Fisheye Mag, L’Espresso, ZEIT WISSEN Magazine.
Vincitore del premio Artphilein Editions nella seconda edizione di Liquida Photofestival con il progetto “Paradise” oggi pubblicazione editoriale. Scopri di più
Paradise
Presentato e prodotto da Artphilein Foundation
«La terra è un paradiso. L’inferno è non accorgersene». Gian Marco Sanna ha indicato spesso, in diverse interviste, questo aforisma di Borges come il seme a partire da cui Paradise ha iniziato a germogliare in lui. Da qui, la scelta del filtro rosso da cui l’occhio è travolto nella visione degli scatti: per fare cioè segno all’estenuazione e allo sfinimento di un pianeta in cui, da più parti, si sentirebbe dire che la “vita” non potrà andare avanti così per molto. Ricoprire l’immagine col filtro – saremo provocatori – non è però un gesto poi tanto diverso da quello che ha portato l’ecosistema sull’orlo del baratro (ammesso, e non concesso, che si sia ancora qui e non già oltre). Tuttavia, riproponendo tale gesto, Paradise ne mette a nudo la logica. Ovvero, mette a nudo il fatto che il pianeta, nel corso del tempo in cui homo sapiens sapiens lo ha abitato, ha visto frapporsi tra sé e quest’ultimo il filtro di tutto un armamentario tecnico-linguistico che lo ha condotto ad essere, in ultimo, un fondo da cui attingere risorse per un’accumulazione indefinita.
Senza assumere manichee posizioni in merito, la messa a nudo di Paradise mostra proprio questo: che il rapporto tra homo e “mondo” è sempre mediato da questo o quell’altro dispositivo tecnico. E dunque che l’esperienza stessa del mondo, per homo, può aprirsi soltanto – e gli scenari imprevedibili che ne derivano hanno luogo qui – attraverso alcunché di tecnico. È quanto già le scene iniziali di 2001: Odissea nello spazio mettevano limpidamente in immagine: i guai, per così dire, iniziano quando un osso non è più soltanto ciò che, almeno così pare, resta della vita, ma diventa strumento che può violentarla.
Testo di Matteo M. Paolucci