Monica Carrera
Monica Carrera nasce a Orzinuovi (Bs) nel 1979. Accanto a personali e collettive, ha avviato diversi progetti, tra cui la residenza Case Sparse (Valcamonica-Berlino) e il centro culturale Carme (Bs). Recenti le partecipazioni alle collettive “Gesto Zero” (Bs-Bg-Cr), “Respiro blu” (galleria Il Triangolo, Cr) “Between Us” (C.A.R.M.E. Bs) e la personale “Le antenne di Tangeri guardano il mare” presso Bunkervik (Bs). Nel 2022 è tra i finalisti della sezione “Fotografia” del Combat Prize (Livorno).
Sette sott’acqua
Sette sott’acqua
Sette sott’acqua è una complessa installazione che vuole riflettere sul rapporto parola-suono-memoria e rispondere al quesito “Cosa accade alle parole una volta che sono penetrate dentro di noi?”.
L’installazione è uno sviluppo del precedente lavoro “Sette cucchiaini per la fine del mondo” costituito da sette cucchiaini d’argento su cui sono state incise altrettante parole che l’artista vorrebbe restassero dopo la fine del mondo, a testimonianza dell’esperienza umana su questo pianeta. L’idea è che le parole siano nutrimento e che, per una volta, non escano dalla bocca, ma vi entrino, ognuna accompagnata dall’insieme di significati che portano con sé. Sette frammenti di mondo che, ricombinandosi, possono generare ulteriori mondi e possibilità. La selezione dei termini è stata ardua; l’obiettivo era, salvaguardando la complessità del linguaggio e del suo rapporto con l’esperienza sensibile, conservare parole sia che afferissero ad aree sensoriali diverse tra loro ma anche che appartenessero a categorie grammaticali differenti. Sono state così selezionate le seguenti parole: canto, stormi, Ulisse, piedi, fame, Marzo, addio*
A completare l’installazione, una traccia audio che riproduce un insieme di frasi – nate dalla combinazione delle diverse parole e pronunciate dal computer dell’automobile – che si sovrappongono tra loro fino a generare una sorta di rumore bianco. In ultima, vi sono sette immagini in bianco e nero dei cucchiaini visti dall’alto sulle quali, in una banda bianca sottostante all’immagine compaiono a rilievo in bianco su bianco ciascuna delle sette parole, componendo una sorta di abbecedario muto. L’artista sceglie di lavorare in bianco e nero alludendo a una dimensione altra rispetto al reale, in cui le parole in rilievo galleggiano, affiorano in uno spazio bianco privo di coordinate di riferimento, dove riecheggia il confuso suono delle frasi che si accavallano l’un l’altra inseguendosi e annullandosi. L’unico tocco di colore è affidato ai mattoni, reperto che fa da ponte tra le due dimensioni.
Il titolo “Sette sott’acqua” allude al viaggio delle sette parole giunte nella dimensione interiore che, una volta precipitate al suo interno, perdono la loro sostanza, cambiando natura e statuto percettivo. La parola pensata solo per se stessi è molto diversa dalla parola pensata per comunicare con l’esterno. In quella pensata per sé troviamo una sorta di purezza: essa diventa categoria universale perché destinata a me sola, non è prevista condivisione o negoziazione. Altro è la parola pronunciata all’infinito, che resta nell’aria come un’eco, che si accavalla e perde di significato per l’eccesso di utilizzo. Essa può essere pronunciata anche da una macchina senza che ci sia alcuna differenza. L’unica veramente generativa è quella incisa sui cucchiaini, destinata alla comunicazione, in un incontro tra dimensione interna ed esterna.
*CANTO: sostantivo maschile che rimanda al suono, ma anche voce del verbo cantare, l’”io canto” di Omero che apre l’iliade e moti poemi epici.
STORMI: nome collettivo che ci spinge ad alzare gli occhi al cielo e ad osservare un movimento che dura il battito di un istante
ULISSE: personaggio mitico, simbolo dell’uomo (uno per tutti) che ha fatto dell’errare il suo modo di apprendere, col duplice significato di imparare vagando e imparare sbagliando. Nulla di più profondamente umano.
PIEDI: nome concreto che ci riporta lo sguardo alla terra, al tempo del cammino, al movimento lento del vagare.
FAME: nome astratto che afferisce ad un’area sensoriale a parte, il settimo senso, la sensazione bruciante che ci spinge a muoverci a partire da una mancanza. E’ ciò che caratterizza l’esperienza dell’uomo da sua affacciarsi sulla terra ad oggi.
Con il nome MARZO volevo alludere alla primavera senza essere letterale, ai suoi germogli, alla sua ciclicità, al suo eterno ritorno.
In ultima ADDIO era doveroso: rimanda ad un altrove, ad un salutarsi con la speranza di ritrovarsi in un mondo altro – a Dio – forse la più grande invenzione dell’uomo, il reale contraltare di Ulisse.”